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Lui & Lei

La garconnière 2


di geniodirazza
28.07.2024    |    1.002    |    2 9.2
"“Ti spiace, se dopo, in camera, saremo due individui adulti ed adulteri, mentre qui, in questo tramonto irreale tra gli alberi, siamo due ragazzi che si..."
Giorgio non aveva mai pensato di avere con me solo un incontro di sesso violento, come era avvenuto; il suo obiettivo era piuttosto distruggere l’immagine stessa di Mario, grande protagonista della vita sociale ed economica, fattosi da se venendo dal nulla ed assurgendo a ruoli di protagonismo; non avendo armi per combatterlo sul terreno sociale, aveva scelto la camera da letto come campo su cui sconfiggerlo e mortificarlo.
Io gli piacevo e lo intrigavo molto; desiderare di possedermi fino allo sfinimento era nell’ordine naturale delle sue voglie; ma l’idea di umiliare, attraverso le copule con me, il ‘grande nemico’ superava ogni ambizione; non si faceva nessun problema con sua moglie Gemma, anche lei, come Mario, grande protagonista di un’ascesa che l’aveva portata rapidamente ad un ruolo di direzione del personale di un’importante azienda.
Con lei era abituato ad un atteggiamento da maschio; da moglie, lei non si era mai sognata di contestarlo in ossequio alla sua educazione, che presentava l’autorità del marito come congeniale ai dettami familiari; neppure lo sfiorava l’idea che Gemma fosse, segretamente, una donna di grande passionalità che aveva preso come oggetto di desiderio proprio il bistrattato cornuto, col quale stava costruendo una meravigliosa storia d’amore e di sesso.
Dopo il primo incontro concluso senza prendersi la verginità anale a cui Mario, secondo lui, aveva rinunciato e che intendeva godersi ad ogni costo, fremette a lungo nella speranza e nell’attesa che mi decidessi a fissare un pomeriggio da prenderci solo per noi e stabilire un luogo dove consumare il rapporto clandestino; la garconnière dove ci eravamo incontrati la prima volta non era sempre disponibile e presidiata dagli amici che era meglio non sapessero.
Nella sua perversa intenzione, Giorgio avrebbe preferito di gran lungo possedere la moglie nel talamo dell’odiato nemico; la proposta stimolò la mia perversione e fissai con lui il pomeriggio di quel mercoledì; la scusa formale, utile comunque, erano fantasiosi adempimenti scolastici da sviluppare a casa; il pericolo sempre presente che tornassero inaspettati mio marito o mia figlia, la coscienza di muoverci sul filo del rasoio, tutto insomma concorreva a rendere frettoloso l’incontro.
Riuscimmo a realizzare una buona copula, ma dovemmo limitare i preliminari e i commenti posteriori ad un banale dialogo da salotto, intervallato solo da baci lussuriosi e vogliosi, prima di ritirarci in camera, soddisfatti e gratificanti, quando ci rilassammo con un cognac, dopo la performance sessuale; il tutto lasciò molte tracce; spiegai a Laura, che aveva chiesto, che avevo ricevuto il collega per problemi scolastici; Mario capì che l’aberrazione era giunta al massimo.
Intanto, tra lui e Gemma l’amore era veramente esploso in tutta la virulenza possibile; il venerdì che aveva indicato per l’appuntamento, si inventò un viaggio di lavoro per tutto il fine settimana, se necessario; Gemma si era accordata con sua sorella che l’avrebbe coperta per quel periodo; la complicità tra sorelle fu una leva determinante per garantirle possibilità di movimento, durante tutto il tempo che la relazione fu clandestina.
Si incontrarono ai cancelli della fabbrica dove lavorava lei; in una mezz’ora di guida, lui la portò in una località di campagna, totalmente immersa nel verde; la dolce primavera dominante offrì paesaggi da favola; Gemma non resistette alla tentazione di prendergli la mano, durante il viaggio; lui la tirò a se e appoggiò la testa contro l’ascella; le baciò i capelli e la donna sentì quello come un gesto d’amore genuino.
Portarono nella camera prenotata la valigetta di lui e lo zaino di lei; indicarono le preferenze per la cena e si persero fanciullescamente in un vicino boschetto di pioppi; lei lo trascinò dietro a un tronco più grosso e lo avvolse in un bacio d’amore che lo stordì; Mario si perse volentieri nella dolcezza della trappola, strinse con voglia incontenibile il corpo che tanto gli ricordava il mio; la rapida e violenta erezione gli diede il senso della partecipazione alla voglia della donna.
Entrambi si sentivano presi da emozioni antiche, quasi oniriche, ed avvertivano la voglia di sesso con il gusto del proibito che tanto li aveva pressati molti anni prima, giovani e desiderosi di scoprire un mondo intravisto e agognato ma sempre tanto difficile da rendere corpo e sangue; Gemma, specialmente, viveva emozioni quasi dimenticate da ragazza di buona famiglia combattuta tra il peccato e il desiderio fisico del ragazzo amato e tenuto a distanza con mille sforzi.
Quando Mario allungò una mano sul seno, lei lo fermò.
“Ti spiace, se dopo, in camera, saremo due individui adulti ed adulteri, mentre qui, in questo tramonto irreale tra gli alberi, siamo due ragazzi che si scoprono innamorati e si fermano al di qua del sesso? Non so spiegarti che cosa mi sconvolge quando mi baci con tanta passione e tanto desiderio ed ho paura di non corrispondere a quello che ti aspetti da me; lo so bene che è solo una mia costruzione mentale, ma mi piacerebbe che percorressimo tutto il sentiero fino all’amore totale. Ti senti limitato e offeso?”
“Gemma, da adesso cominciamo ad usare parole pesanti; e impariamo anche a pesarle, prima di lasciarci andare; io so che la parola amore usata con te mi costringe a pensare concretamente a disamore per mia moglie; non sono capace di mezze misure; finora non ci sono elementi sufficienti per condannare a morte venti anni di vita comune; e resta sempre l’incognita di una ragazza innocente che può essere travolta dalle mie scelte.
Però abbiamo già detto che faremo le cose coi piedi per terra e la testa fra le nuvole; qui, in questo posto e con questo scenario che hai definito giustamente irreale, il sogno è carne viva; ti amo; e so che cosa significa e comporta; in questo spazio, in questi momenti, non credere di essere sola a provare emozioni infantili; poi ti dirò quanto sforzo mi costi non inondare il boxer solo stringendoti a me.
E’ la prima volta, per tutti e due; il passato è cancellato e siamo due ragazzi impreparati e vogliosi che affrontano l’amore; vale per questo momento, ma sarà così per tutto il tempo che staremo qui, per tutte le volte che ci abbandoneremo all’amore; non so praticare sesso selvaggio; io faccio l’amore, specialmente con te; lasciati andare e sii la più genuina che ti viene; io lo farò senza esitazione; non ho mai giocato a chi ce l’aveva più grosso, ma sto bene attento a provare le stesse tue emozioni.”
Ritornarono con qualche impaccio perché marciavano avvinghiati, quasi volessero fondersi in uno; di tanto in tanto, si fermavano sul sentiero e si divoravano di baci famelici, quasi si divorassero tutti; finalmente arrivarono alla sala ristorante e cenarono, anzi consumarono il cibo ordinato, preoccupati piuttosto di toccarsi, di baciarsi, di guardarsi negli occhi mentre brindano a tutto, persino agli amplessi che avrebbero consumato di lì a poco; in breve, evaporarono dal reale ed erano felici.
Subito dopo, occuparono la camera prenotata e davvero si sentirono come sposi novelli alla prima esperienza di vita in comune; lui la abbracciò ancora con invariata passione e la spinse verso il letto; lei lo seguì ricambiando il gioco intenso delle lingue che si cercavano, percorrevano la cavità orale e lasciavano scorrere flussi di saliva come se stessero praticando ambedue un nuovo ed intenso coito orale con la lingua dell’altro; piombarono vestiti ed eccitati sul letto.
Non c’era bisogno di spogliarsi; non ci provarono nemmeno; quel primo incontro era di tale intensità che qualunque tecnica amatoria sarebbe stata solo una stonatura; la voglia dominava tutto e stimolava i gesti che compivano; si baciavano e si abbrancavano in preda ad un irrefrenabile desiderio di sentirsi, di possedersi, di godersi; lui le tirò su la gonna, lungo le gambe, la arrotolò e lasciò scoperto il corpo dalla vita in giù; lei aprì la cerniera del pantalone e si impossessò del fallo.
Mario le ruotò sopra, appoggiò il sesso fra le cosce e spostò semplicemente il perizoma per infilare in vagina le dita, quasi per aprire la strada alla penetrazione; cogliendo le intenzioni di lui, Gemma guidò l‘asta alla vagina e si penetrò; gli avvolse le gambe intorno al corpo e spinse dal basso per la massima penetrazione; lui favorì la copula spingendo contro il pube; sentì che l’asta picchiava duro contro la testa dell’utero; si fermò temendo di farle male; lei spinse coi piedi il corpo verso il basso.
Si fermarono ansanti, eccitati, quasi spaventati dalla foga con cui si stavano amando; poi Gemma gli prese la testa, lo baciò con fervore sulla bocca e gli sussurrò di prenderla; lui ebbe la sensazione di violare un corpo nuovo, non avvezzo alla copula; lei sentì il bastone di carne farsi largo nell’intimità e dominarla; l’emozione di offrirsi e di impossessarsi dell’altro era identica in entrambi e il piacere di sentire il corpo amato sconvolgeva il pensiero logico.
Iniziò la cavalcata più dolce che avessero potuto desiderare; lui era al tempo stesso aggressivo e dolce; il sesso era notevole, più grosso di quello a cui lei si era piegata per anni in camera da letto; ma lo sentiva come un piumino da cipria che le titillava i gangli nervosi della sessualità; lei coglieva la sua ricettività per quel fallo desiderato e spesso sognato; scivolava nella vagina come nella sede naturale e il movimento era una carezza continua che strappava flussi d’umori e gemiti di piacere.
L’orgasmo arrivò improvviso, ma atteso, seguito e comunicato a parole, a gesti, a lamenti, a carezze; lo spruzzo dello sperma contro l’utero scatenò il doppio orgasmo contemporaneo di cui forse tutto l’edificio si rese conto; si bearono sorridenti, appagati, indifferenti se la loro goduria, la gioia di viversi e di amarsi fosse stata avvertita da tutti gli ospiti; stavano consumando il loro anomalo matrimonio e, se tutti se ne accorgevano, era anche giusto.
La loro fu, praticamente, una luna di miele che poté durare quasi tre giorni, dal venerdì pomeriggio al lunedì mattina; erano felici di stare insieme in un letto d’amore, e non si risparmiarono; tranne che per brevi intervalli in cui pranzarono e cenarono molto rapidamente, il tempo scorreva mentre si conoscevano, si scandagliavano, si possedevano e si davano tutto; entrambi sposati da anni, poterono svariare in tutte le tecniche amatorie; non si risparmiarono; e scoprirono felici la sintonia anche nel sesso.
Tornati in città e alla prigione dei doveri quotidiani, per avere un punto di ritrovo per le loro effusioni, Mario decise l’acquisto di un monolocale in un quartiere residenziale nuovo, dove erano sconosciuti; se la loro relazione fosse diventata importante, sarebbe stato quello il loro rifugio, per nascondersi dalle cattiverie gratuite di noi legittimi consorti che, per evitare incontri sgradevoli in casa mia, ci rifugiavamo in un hotel delle vicinanze dove con enorme ingenuità pagavo con le carte di credito.
Non avevo tenuto conto che facevano aggio sui conti di mio marito, che nella sua deformazione professionale controllava gli estratti conto voce per voce; alla fine del trimestre, gli ci volle poco per capire che figuravano voci di spesa che non avevano nessun motivo per esistere; si fece mandare copia delle varie ricevute e, a casa, dispose tutto sul tavolo, una sera che eravamo seduti, io lui e nostra figlia, prima di cena.
Chiese a noi due se riuscivamo a spiegargli come mai gli fossero stati addebitati costi per una camera per due persone in un albergo assolutamente sconosciuto e mai frequentato, oltre ai conti del ristorante annesso per diverse cene di cui non aveva alba; non intervenni, per evitare di espormi e confessare; nostra figlia cercò di trovare con lui un bandolo, colse al volo il vero senso dell’accusa indiretta e tacque; parlò solo quando, stupidamente, cercai di dire che non era un problema così grave.
“Mamma, se sei stata tu a usare quella camera, sappi che non è difficile arrivare alla verità; sono certa che papà ha già le prove e i documenti per dimostrarlo; forse ti converrebbe una chiara confessione; quello che hai fatto è reato penale; è un furto, perché hai usato carte non tue per pagare debiti tuoi; anche un amore viscerale come quello di tuo marito o la sua pazienza degna di Giobbe non ti potrebbero evitare una denuncia, se consegna quei documenti ad un giudice.”
Mi ritirai a coda ritta nella camera e mi chiusi dentro, rimeditando sulla gravità del mio gesto, appesantito dal fatto che in quella camera d’albergo avevo anche concesso a Giorgio la verginità anale che a mio marito avevo negato per venti anni, ribellandomi con forza e caparbietà alle sue richieste di far l’amore da amanti veri; se davvero avesse agito contro di me, non avrei avuto scampo; l’unica possibilità di evitare il divorzio era la certezza che non avrebbe mai rinunciato a Laura.
Su questo presupposto avevo iniziato la storia con Giorgio e l’avevo tenuta in vita con molta determinazione; parlavo molto, col mio amante; tra le altre cose, gli avevo confidato di essermi stranamente aperta a molte nuove esperienze proprio perché la passione smodata tra padre e figlia mi metteva al riparo da eventuali scelte definitive; confidai che avevo anche il dubbio che i due provassero emozioni vicine all’incesto; se ci non arrivavano, era solo per l’eccessivo rigore morale di Mario.
Ne avevo parlato ampiamente proprio il pomeriggio che, all’hotel incriminato, avevo concesso finalmente l’ano a Giorgio; lui aveva sin dal primo momento adocchiato la mia particolare condizione perché non avevo mai permesso a mio marito di penetrarmi nel retto nemmeno con un dito; me lo propose e, in un folle impeto di lussuria, gli dissi che ci avrei pensato e che, se si fosse presentata l’occasione buona, avrei sacrificato alla nostra passione anche quella verginità.
Giorgio, naturalmente, non aveva fatto passare nessun incontro sessuale senza leccare e carezzare libidinosamente il buchetto posteriore; alla lunga, mi ero abituata all’idea di una copula anale e lo avevo pregato di fare le cose in modo da farmi superare ataviche paure sulle conseguenze; lui era stato davvero affettuoso e, negli incontri successivi, mi aveva convinta a lasciarmi leccare l’ano, specialmente quando mi prendeva a pecorina, per il momento solo in vagina.
Per aiutarmi a superare i dubbi, mi aveva progressivamente, copula per copula, abituata a farmi inserire nel retto un dito, prima, e due poi; con il supporto di un gel lubrificante, mi aveva dimostrato che tre dita entravano nello sfintere e ruotavano senza problemi; il pomeriggio che aveva deciso di prendermi analmente, aveva portato le dita a quattro; mi ero sentita stimolata e ed eccitata dalla pressione sull’utero, dal retto; quando appoggiò la cappella, ero pronta.
Sentii la mazza entrare abbastanza facilmente nel canale rettale; intanto, mi masturbavo e spostavo l’attenzione sulla vagina; quando l’asta spinse l’utero da dietro, godetti visibilmente e quasi non mi accorsi che la mazza era tutta nelle mie viscere; da quella volta, tutti gli incontri culminavano in un coito anale di grande lussuria ed io mi sentivo piena, soddisfatta e felice di aver finalmente raggiunto la pienezza del piacere.
Nel momento in cui gli altarini furono scoperti, si ingigantì il dubbio che pesassero sulla rottura anche le verginità sempre negate al coniuge legittimo e concesse senza problemi all’amante, dall’ano all’ingoio dello sperma dopo una fellazione, dalle copule a pecorina alle spagnole apprese e praticate con gusto; restava solo la possibilità che, per non perdere il rapporto con sua figlia, mio marito cedesse ancora e mi lasciasse libera di praticare il mio libertinaggio.
Dopo la rivelazione di Mario, non era però pensabile di continuare l’andazzo della camera d’albergo a spese di mio marito; non volevo cedere in nessun punto e mi ostinai a mantenere il rapporto con Giorgio; lui, alla notizia dell’episodio, si intestardì viepiù a voler offendere ‘il cornuto’, contro il quale lanciava puntualmente offese ed improperi che mi turbavano perché implicavano un giudizio di ‘troia’ nei miei confronti, che non credevo di meritare, avendo tradito mio marito solo con lui.
Scegliemmo quindi un albergo ad ore più economico che pagavo in contanti, per evitare tracce da seguire; non avrei mai concesso al mio amante di pagare lui, per dominarlo almeno sul piano economico; i rimorsi, perché mi comportavo peggio di quanto dichiaravo che facesse Mario con me, non mi sfioravano; come il gesto di sottomissione al caprone che mi montava mi sembrava corretto mentre accusavo Mario di non so quale prevaricazione.
Per appesantire il suo atteggiamento nei confronti di mio marito, Giorgio mi chiedeva con insistenza di copulare nel talamo, a casa mia; tentavo di oppormi, soprattutto per timore di essere sorpresa da mia figlia in atteggiamento colpevole; di Mario non mi preoccupavo, per la metodicità dei suoi comportamenti e la credulità alle mie bugie; molte volte, non ebbi argomenti sufficienti e lo facemmo in camera nostra, se poteva valere l’aggettivo al punto in cui eravamo, con mio marito fisso in studio.
Continuai a parlare con Giorgio, quasi per liberarmi la coscienza, e gli dissi cose di cui altrimenti mi sarei vergognata; in quella situazione, qualunque verità poteva essere credibile o inventata; il particolare disarmante, di cui non mi ero assolutamente resa conto, era che anche il nostro appartamento era dotato, come la garconnière del nostro primo incontro, di un sistema di controllo antintrusione che registrava in video e in audio ogni movimento in casa.
Praticamente, mio marito era a perfetta conoscenza di ogni mio gesto; quando mi appartavo col mio stallone, una fotocellula scattava all’ingresso in camera e tutta la copula restava registrata in memoria; lui, che conosceva bene il meccanismo e il modo di usarlo, quando trovava nuove acquisizioni, le prelevava e le ‘collezionava’; la parte più sordida della vicenda era che io sapevo dell’installazione ma non feci mai caso né alla fotocellula né ai led delle videocamere accese.
Purtroppo per me, in uno degli incontri infuocati che realizzammo nella camera da letto, mi lasciai andare a commenti contro Mario aspri e pericolosi, di cui non mi resi conto se non quando me li sbatté vergognosamente in faccia; ci aveva raccolte, me e nostra figlia, intorno allo stesso tavolo da cucina della prima denuncia, quella dell’hotel.
“Laura, scusami se la richiesta può offenderti, ma domani ti ho fissato delle analisi al laboratorio ‘Sanitas’; serviranno a stabilire il test del DNA per accertare la mia paternità naturale nei tuoi confronti.”
“Papà, non vedo perché dovrei offendermi; a che ti ti serve un documento che attesti che sei mio padre?”
“Se dovessi barare come qualcuno in casa fa, mi basterebbe dire che servono per adempimenti d’ufficio; per una donna intelligente come te, alla soglia della laurea in legge, la bugia sarebbe evidente; ma non sono tipo da bluffare o da mentire soprattutto alla persona che amo al di sopra di ogni altra cosa … “
“E allora perché rompi questa povera figlia con accertamenti speciosi?”
“Il perché è in questa registrazione; si tratta di un video, ma non te lo lascio vedere, perché io che l’ho visto ho vomitato per due ore; non credo che a te farebbe un effetto diverso; quello che è interessante è il dialogo, in cui la signora tua madre comunica al suo amante che mi ha rifilato venti anni fa come mia una figlia frutto di un amore spericolato dei tanti con cui amava sbizzarrirsi già da quei tempi … “
Scattai come punta da un serpente.
“Dove hai preso quella registrazione? Come ti sei permesso di violare la mia privacy; ti mando in galera!”
“La casa è dotata di un sistema di allarme antintrusione; lo hai reclamato tu perché c’erano stati dei furti e avevi paura; non hai saputo disattivarlo ed hai lasciato che registrasse le tue nobili gesta e i tuoi alati dialoghi con il cavaliere immacolato che ti serve a letto; però hai finalmente detto la verità e la resa dei conti è arrivata; di tutti i conti, bada, perché non faccio sconti e picchio duro, stavolta!”
“Mamma, che c’è di vero in quel che dice tuo marito?”
“E’ inutile che fai il test; Mario non è il tuo padre naturale; quello è morto qualche anno fa in galera … “
“Mamma, dio ti aiuti, ti rendi conto di quello che dici? Capisci che il tuo è reato di truffa continuata, perché per vent’anni hai spacciato per legittima una figlia che non lo era; Mario potrebbe adesso chiederti anche venti anni di danni.”
“Senti caro avvocato; cosa dovevo fare? Abortirti? Prendermi cura, da sola a vent’anni, di una figlia nata per la mia insipienza e per la perversione di un sedicente amico? Se proprio mi vuoi perversa, l’unica colpa è stata di scegliere l’uomo più posato e sicuro che conoscevo, il più buono, quello che mi avrebbe creduto se gli avessi proposto di essere mio marito e padre di mia figlia.
Devo sentirmi giudicata e condannata anche da te che ho cercato di far crescere, come sei cresciuta, nel benessere e nella sicurezza? Ho sbagliato; ho ingannato; merito di essere condannata dalla legge, da mio marito che è stato truffato; ma non da te; tu dovresti solo ringraziarmi per essere quello che sei; io devo pagare e andrò a gettarmi sotto un treno, se sarò sopraffatta dalle colpe e dai debiti impagabili; ma, almeno tu, cerca di capire una madre che vuole salvare la vita di sua figlia.”
“C’è molta verità in quello che dici; ma questo non addolcisce la colpa; perché lo hai umiliato e distrutto? Perché lo tradisci così volgarmente da farti riprendere anche mentre lo fai? Perché odi tanto l’uomo che è stato con te così generoso?”
“Perché ero una stupida ragazzina quando mi feci possedere da tutti gli amici per festeggiare un esame superato e non mi accertai che usassero tutti il preservativo; perché sono ancora la stessa ragazza imbecille che, per ribellarsi a quella che considera la prevaricazione di un marito, si va a schiavizzare ad un caprone, gli concede le verginità che ha sempre negato all’uomo che la ama e alla fine si trova sul banco degli imputati con l’accusa di furto e truffa continuata.
Questa è la verità all’osso; ho sbagliato tutto perché sono stata stupida; adesso cosa succederà?”
“Innanzitutto, devo fare il test perché al giudice servirà quando chiederai di cambiare il mio cognome e dichiarerai che sono nata fuori dal matrimonio per un rapporto occasionale; questo lo devi fare comunque ed io dovrò cambiare il cognome in tutti gli atti, sperando che non mi invalidino qualcosa.
Adesso lui ha il diritto e il dovere di separarsi, sperando che questo basti a placare l’ira contro di te; poi dobbiamo andarcene da questa casa, che è di proprietà unica di Mario; sei stata tu a volere la separazione dei beni; cosa faremo uscendo da qui, lo sa solo dio; quello che è certo, è che rischio di non laurearmi a poco tempo dalla discussione della tesi, perché dovrò mettermi a lavorare.”
“Lo spermatozoo che mi ingravidò non è suo, l’ho ingannato per vent’anni; ma in questi anni tu sei stata e sei sua figlia; solo la sua educazione ti poteva rendere così lucida; all’età tua, io mi facevo sbattere da sei sbandati, prendevo per i fondelli un poveraccio, mi facevo sposare e poi lo tradivo volgarmente; tu analizzi prima di parlare; in questo sei Mario, anche se lui ti rinnegasse.”
“Ragazza, sei veramente in gamba hai fatto un’analisi precisa; ma è solo tua madre che deve andarsene, accettando la separazione consensuale per non tirare in lungo una causa; non voglio più vederla sul mio orizzonte e il suo odore mi da il voltastomaco; per te vale la favola di Fedro, del cane e dell’agnello; so che la tua preparazione classica ti consente di capire … “
“Parli del dialogo in cui il cane pastore rimprovera l’agnello perché cerca la madre nel gruppo sbagliato? Madre non è quella che ti concepisce in preda ad un estro naturale, ma che per mia madre era molto innaturale, e poi ti abbandona sulla roccia alla ferocia dei lupi; madre è colei che ti prende sotto la sua ala, ti difende dai lupi e dalle avversità e ti fa arrivare a muoverti da solo nella vita. Posso credere che ti senti mio padre nonostante la verità rivelata?
Accetteresti di sostenermi e di guidarmi ancora fino a che trovo la mia strada nella vita?”
“Tua madre ha ricordato spesso che non era lei, ma io, a pulire il sederino della nostra bambina quando aveva problemi all’intestino e bisognava proteggersi con la mascherina per cambiarla; sa che ho seguito tutti i tuoi passi, dal primo fino all’università; sei mia figlia e mi dà ancora gioia chiamarti ‘figlia mia’ anche se la libidine della ragazzina imbecille fu soddisfatta da un ceffo da galera.
Questa casa è sempre tua, se tu accetti di viverla con me; ma tua madre uscirà oggi e non ci rientrerà più; il suo posto sarà preso da un’altra che mi ama davvero, almeno quanto la amo io; devi essere tu a scegliere e decidere se vuoi andare a vivere con tua madre, con i limiti che dovrà finalmente capire e sopportare, dell’impiegata statale che non potrà permettersi più di buttare cento euro per un tubo di rossetto inutile.
Se vuoi continuare il tuo percorso come lo hai, anzi come lo abbiamo, sognato, perché c’ero anche quando hai scelto la facoltà; se vuoi ancora considerarmi tuo padre e accettare che ti senta ancora come figlia, posso solo darti il benvenuto; però, dovrai vedere tua madre fuori da qui e lontano dai miei occhi, e convivere con una donna che si prenderà il mio amore e la mia vita, anche se dovesse risultare sgradevole.”
“Senti, papà, e non lo dico a caso, sei mio padre per tutto il vissuto; voglio per te la felicità che questa donna ti ha rubato, chiunque te la possa dare; forse è meglio che ti dia anche un figlio, se vuoi un erede, perché io sono fuori di tutti i giochi.”
Lui stava telefonando.
“Ciao, ho parlato con la mia ex moglie; se sei ancora dell’idea, la mia casa aspetta di diventare nostra; … Laura resta con noi, forse sarete amiche; dice che un figlio sarebbe un ottimo sostituto del certificato di matrimonio; … Non sei vecchia, io forse potrei avere problemi col gap generazionale ... Quando vuoi … Sì, anche adesso … Ti aspettiamo!”
C’era stato uno sguardo d’intesa con mia figlia, sulle ultime considerazioni; scappai nella camera degli ospiti; chiamai Giorgio; urlò bestemmie ed improperi al ‘cornuto’, a tutte le donne e a sua moglie che lo aveva lasciato in quel momento dopo una telefonata con un suo amante; non voleva più rapporti castranti; la verità si fece luce e capii che, mentre noi giocavamo a fare le corna, loro ci scavavano la fossa e costruivano il futuro; finalmente riuscii a sfogare le lacrime che avevo trattenuto.
Udito il mio pianto, mia figlia entrò, spinta da Mario, e mi venne ad abbracciare; accolse sul suo seno le lacrime e mi carezzò la testa.
“Mamma, adesso è notte, forse; ma sai bene che bisogna aspettare che la notte passi; poi, forse, comincia un’altra vita.”
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